Io ho fatto il babysitter


Credo - non so se si evince quando scrivo e me la tiro da superpapà :-) - di essere naturalmente portato per certe attività paterne, tanto da dire spesso a mia moglie: non preoccuparti, da quando avranno 3 anni in poi penserò a tutto io. Lei sorride, ma un po' ci crede davvero. O ci spera? :-)

E’ un dono che ho scoperto facendo il babysitter...sì, esatto, il babysitter. Il. Maschio. Uomo. Molte persone a cui dicevo “faccio il baysitter” o non dicevano nulla o mi guardavano MOLTO strano (la faccia diceva: ha detto proprio babysitter, non, per dirne una, commesso in un negozio, eh?). Avevo 22 anni, una vita fa. I fortunati ad avermi come tato furono due: un quasi treenne, tranquillo e pacifico e un cinquenne...il contrario di tranquillo e pacifico, ora mi sfugge un termine adatto.

Ma nonostante alcune difficoltà caratteriali, grazie a loro imparai per la prima volta a relazionarmi con il mondo dei nani (sto leggendo Quello che le mamme non dicono...rubo il termine con cui l'autrice identifica i bimbi in generale, "nani" appunto... che ci sta proprio bene ;-D). Mi vengono in mente a tal proposito un po' di faccende pratiche a cui ho dovuto far fronte durante la mia carriera da babysitter.

Vestire un bambino che non vuole essere vestito, alle sette di mattina con le caccole negli occhi. Sue ma soprattutto mie.

Svestire e rivestire un bambino piccolo, perché anche se non oppone resistenza non è facile, soprattutto con vestiti che non siano daddy-friendly: ad esempio quelli totalmente anelastici con il buco per la testa largo quanto una pallina da golf. Spremi spremi, vedrai che la testa passa, tipo crema dalla sac-a-poche.

Portare a scuola un bambino che non ci vuole andare, e il tragitto casa-scuola non è privo di barriere: le scale ("prendimi in braccio se no non mi muovo"), la macchina (e metticelo un bambino che non vuole entrarci), il traffico (e prova a non tirar giù tutte le costellazioni di angeli se per fare due chilometri ci metti mezz’ora).

Ridere guardando un cartone animato, anche alla tredicesima volta in quindici giorni (il cartone era Alla ricerca di Nemo, e mi fa ridere ancora oggi).

Cogliere l’attimo quando sei ai giardini con un bambino che deve fare pipì e non ha più il pannolino: hai tre secondi di tempo netti per individuare un luogo idoneo per la minzione, portarcelo di peso lievitando come Superman, spogliarlo senza fare la figura del maniaco e indirizzare il getto in modo che non faccia troppi danni. (Sì, è vero, questo è impossibile con due figlie femmine. Qualcosa inventerò)

Sgridare un bambino e poi fare pace spiegandogli perché è stato sgridato.

Attraversare la strada con un bambino, insegnandogli come fare.

E più di ogni altra cosa ho imparato che, dopo tutto, i bambini sono esseri semplici, primordiali. I loro bisogni sono contenuti, basta non sbagliare i tempi e i modi. Hai detto niente, vero?

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