Come la vita che ci travolge


Giugno duemilaquattordici.

C'è un sole di fuoco rinfrescato da qualche muro d'acqua estivo.
Sudore e pioggia che si mescolano ai gas di scarico di un'accelerazione imprevvisa, ovvero improvvisa ed imprevista. Il mese parte come gli altri suoi sei predecessori. Nel futuro non c'è ancora la nuova casa e nel presente non c'è ancora la sicurezza di aver venduto quella dello zio. In questo limbo arriva un primo scossone, il blackout - conseguenza di un corto circuito - di chi pensa forte che forse è arrivato il tempo di fermarsi a riflettere. Capire se quello che stiamo facendo ha un senso, uno scopo, una ragione, una volontà. Oppure se è solo la vita che ci travolge, una, due, mille volte, finché l'ultima mareggiata non lascia che i resti, i pezzetti, così impregnati e marci da rendere vacuo ogni tentativo di rimetterli insieme. E allora cerchi di capire se sei ancora in tempo per non arrivare al troppo tardi, come quando vedi lo tsunami dalla spiaggia e sai già che è finita. Troppo tardi, appunto.

Nel pieno del blackout, fermi in ascensore in bilico tra il buco sotto e senza vedere il cielo azzurro sopra, ci trapassano due scariche elettriche, defibrillatori del destino, fulmini che infiammano senza bruciare. Uno-due, come nel calcio: c'è un'offerta per l'appartamento dello zio e vediamo una casa che ci scalda l'anima.
Usciamo dal coma intontiti.

Siamo in un vortice psichedelico e non sappiamo da che parte usciremo, se da sotto, negli inferi, o sopra, a rivedere le stelle e quel cielo azzurro.

Ci facciamo travolgere dalla vita?

E' una domanda che segna i minuti, nel tragitto da quella casa che ci resta dentro fino al sonno a intermittenza della notte. Il risveglio, se si può dire sereno, è almeno vivido. Siamo ancora in ballo, e balliamo. Io mi faccio ascoltare da un amico vero, e sento il nodo allentarsi e le vibrazioni positive riemergere.

La vendita va in porto, definitivamente e senza più forse, in una serata fatta di pizza e  attesa, con amici pronti a sentire se il telefono squilla.
L'acquisto segue la vendita di pochi giorni. Il tempo di fare gli ultimi conti, gli ultimi ragionamenti, i sopralluoghi in zona, per cominciare a masticare quel posto nuovo, vedere che aria si respira e cosa dice la collina. La trattativa corre, ci prospettano una settimana di attesa, ma nei fatti in 24 ore è tutto definito.

Così, quel treno che aspettavamo da 8 mesi, quasi un terzo figlio, inchioda fischiando e riparte rischiando di lasciarci a terra. Saliamo in carrozza buttando un occhio in basso, per vedere se abbiamo preso tutto, se non dimentichiamo nulla. Se c'è tutta, la nostra vita, e se vogliamo che sia ancora tutta nostra. Il viaggio del nuovo inizio fa tante brevi fermate, tutte previste. C'è la stazione del notaio, quella del mutuo, quella dell'agenzia, quella dell'Ikea, quella del compromesso, e via, così via...piccoli puntini che si avvicinano, facendosi riconoscere sul tragitto. Come quella casetta che disegnavamo con le nostre figlie: c'era, sfocata, ora un po' più nitida, ha un indirizzo postale, una geografia, e nei prossimi mesi sarà sempre più nostra, lì, ad aspettarci, ai piedi del monte, guardando in faccia la valle e il paese, baciata dal sole del pomeriggio.

Da quest'alba estiva alle porte del Natale, costruiremo le fondamenta di qualcosa di nuovo, levigando gli angoli del vecchio, cercando, quando la vita ci travolge, di tenerla insieme con la leggerezza, con la serenità che in questi giorni è tornata a casa, accarezzando piano il pavimento coi piedi nudi, trattenendo uno starnuto.
Per non svegliare i lupi cattivi.

E' strana la legge che ci sconfigge
Buffa la spada che ci trafigge
Sembra vicina ma non si raggiunge
E' troppo perfetta la bellezza sfugge

Come la pace che si diffonde
Come la vita che ci travolge
Come luna che alza le onde


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